Oggi gli spazi entro i quali possiamo vivere e fare esperienze sono cambiati e le limitazioni esterne ci hanno portato a fare i conti con un nostro spazio interno.
La domanda che ci siamo rivolti in questi lunghi mesi è stata: come tornare ad abitare i nostri spazi interni senza sentirci a disagio?
Di cosa sono fatti? Ci ricordavamo della loro esistenza o facevamo finta di niente?
Sensazioni, emozioni forti a volte, oppure fatiche che pensavamo di aver parcheggiato lì di lato, ricordi potenti a volte malinconici, nell’ombra e che non pensavamo di dover più guardare in faccia…
Le attività che facevano parte della quotidianità e che aiutavano a tollerare i problemi giornalieri, come l’attività sportiva, una cena tra amici, l’appuntamento settimanale in palestra con i compagni, le due chiacchiere alla fine dell’allenamento, oggi non sono più possibili come un tempo.
Di ciò che ci faceva stare bene allora, oggi ne sentiamo fortemente la mancanza. Pur comprendendo la necessità dei limiti che ci vengono imposti dall’esterno, cominciamo ad accusare una stanchezza non ordinaria.
A fronte di tutti questi “vorrei ma non posso”, come ci manteniamo in equilibrio?
Ci accorgiamo inevitabilmente che da quando il corona virus è entrato nelle nostre vite, gli equilibri che avevamo prima sono stati ampiamente modificati.
C’è un prima e un dopo. Si è creato uno spartiacque.
Infatti oggi viviamo una quotidianità in cui gli equilibri vanno ricostruiti in un modo nuovo, con ingredienti a volte diversi e in maniera del tutto personale.
Equilibri nuovi, ma del tutto personali.
Personale: significa partire dalla persona. Partire da chi sei.
A volte può essere faticoso, ma non è necessario farlo da soli.
La pandemia ha cambiato il volto delle famiglie e riuscire a partire da chi siamo, dopo questo “terremoto” che ha alterato legami ed affetti può non essere immediato.
A volte non è automatico, perché le carte in tavola sono cambiate, la disposizione delle sedie intorno alle tavole sono cambiate portandosi dietro una scia di tristezza e amarezza che sa essere pungente, ma i nostri bisogni sono gli stessi.
Impariamo ad ascoltarli e riconoscerli.
Rispettare il proprio tempo. Rispettarci nei tempi.
E’ per questo che è così importante prendersene cura: sono la parte più profonda e autentica che abbiamo ed è quella parte che se trascuriamo poi si farà sentire con modalità indirette: con malesseri generalizzati, umore basso, dolori fisici, nervosismo, rabbia, irrequietezza, ansia e pensieri che a volte diventano molto disturbanti.
Alla luce di quanto detto, non esiste una ricetta che possa valere per tutti rispetto al consiglio pratico.
Mi capita spesso di fare questo paragone: immaginiamo di visitare un posto nuovo, di essere in vacanza in un paese estero, (lo so, non facciamo fatica), e ci consigliano il piatto forte della zona. Assaggiamo e scopriamo amaramente che quella pietanza non ci piace, non fa per noi.
Ecco perché diventa importante poter ripartire da sé, ascoltarsi, oltre che chiedere aiuto quando la fatica diventa troppa, e inserire per esempio in una routine quotidiana qualcosa che sappiamo ci faccia bene: possono suonare come indicazioni banali, ma in un momento di disorientamento, poter contare su piccole cose diventa una buon appiglio per non demoralizzarsi.
Non rimproveriamoci neanche però, nel momento in cui sentiamo lo sconforto e il peso di tutta questa situazione. E’ sano, sentire e riconoscere la propria fatica di fronte ad una situazione che sta diventando estremamente pesante: dimostra che abbiamo una buona adesione alla realtà e questa consapevolezza ci permette di non sentirci abbandonati a noi stessi e che ci porta a chiedere aiuto, riscoprendo il desiderio di un nuovo equilibrio in un momento di bisogno, quando non lo pensavamo possibile.
Francesca Carloni